E il futuro? (Il catalogo e il suo contesto. Quinta parte)

E poi?

Prima di proporre una qualsiasi soluzione ai problemi osservati in questi post, è necessario almeno capire a quale domanda stiamo tentando di dare risposta. Per me la domanda principale è:

Che cosa dovrebbe accadere tra la schermata di ricerca e quella di visualizzazione dei risultati?

Oppure come si chiedeva Pauline Cochrane: “Perché mai un utente dovrebbe utilizzare un termine di ricerca che non fornisce un collegamento all’apparato sindetico né suggerimenti su come procedere?”[1] Mi piace molto il passaggio sui “suggerimenti su come procedere” che lei inserisce qui. Sebbene mi vengano in mente alcune eccezioni, ritengo che questa sia una domanda importante.

Se hai frequentato un corso sul reference in una scuola di biblioteconomia (ma forse una cosa del genere oggi non viene neppure più insegnata), hai certamente imparato una techica chiamata “intervista di reference“. L’articolo di Wikipedia sul tema non è male e definisce il concetto come un’interazione che si svolge al banco del reference “in which the librarian responds to the user’s initial explanation of his or her information need by first attempting to clarify that need and then by directing the user to appropriate information resources” (N.d.T. nella wikipedia inglese ci sono diversi articoli dedicati, oltre a quello sull’intervista c’è quello sul banco, quello sulla collezione e quello sul reference digitale; in quella italiana, invece, per ora c’è una pagina sola). L’ipotesi alla base dell’intervista di reference è che l’utente arrivi in biblioteca o con una richiesta mal formulata o con una che non possa essere facilmente tradotta in una fonte presente in biblioteca. Nel volume di Bill Katz “Introduction to Reference Work” egli coglie la questione in maniera molto schietta:

“Sii scettico sulle informazioni che il cliente presenta” [2]

Se siamo così scettici che l’utente possa arrivare in biblioteca con la corretta ricerca in mente/mano, allora perché pensiamo che sia una soluzione quella di dargli una casella di ricerca per inserire una stringa, povera o mal formulata? Questa è un’altra cosa che mi lascia di sasso.

Così, tornando indietro alla nostra domanda, che cosa dovrebbe accadere tra la casella di ricerca e la visualizzazione dei risultati?
Non è una domanda facile e la risposta non è semplice. Parte della difficoltà nel rispondere sta nel fatto che non c’è una sola risposta corretta. Un’altra difficoltà è che non possiamo capire se una risposta è giusta finché non la proviamo, non gli diamo un po’ di tempo, la apriamo per una messa a punto e restiamo ad osservare con attenzione. Questo è il tipo di lavoro che fa Google quando apporta qualche cambiamento alla sua interfaccia, ma noi non abbiamo né i suoi soldi né la sua rete (noi dipendiamo dai venditori dei sistemi, che decidono che cosa possiamo e non possiamo fare con i nostri cataloghi).

Dato che non ho risposte (non ho neppure tutte le domande) porrò alcune domande, ma davvero vorrei riflessioni da chiunque di voi abbia idee a questo riguardo, poiché le vostre idee sono probabilmente più aggiornate delle mie.Che cosa vogliamo sapere rispetto a questo problema e alle sue possibili soluzioni?

(Alcune delle) domande di Karen

    • Perché abbiamo smesso di far evolvere l’accesso per soggetto?
      L’accesso per parole chiave è semplicemente più facile da capire da parte degli utenti? Is it that keyword access is simply easier for users to understand? La tecnologia ci ha ingannato, portandoci a pensare che “l’apparato sindetico” sia inutile? Perché le regole di catalogazione e la descrizione bibliografica hanno ricevuto dalla nostra professione tempo e risorse di sviluppo in maniera maggiore rispettto all’accesso per soggetto? [3]
    • E’ troppo tardi per avviare i nostri utenti all’organizzazione della conoscenza?
      Gli utenti di oggi sono molto diversi da quelli dell’epoca pre-computer. Alcuni dei nostri utenti non hanno mai utilizzato un catalogo con una palese struttura di organizzazione della conoscenza che essi possano/debbano navigare. Troverebbero questa struttura intrusiva? Oppure si troverebbero improvvisamente a scoprire ciò che gli è mancato per tutto questo tempo? [4]
    • Possiamo usare con successo le informazioni sui soggetti che già abbiamo nei nostri record?
      Alcuni dei commenti nell’articolo curato da Cochrane e precedentemente citato riguardano problemi delle Library of Congress Subject Headings (LCSH), in particolare il fatto che le relazioni tra intestazioni sono incomplete e progettate in maniera povera.[5] Poiché le LCSH sono ciò che abbiamo come intestazioni, potremmo fare meglio? Un’altra critica riguarda la carenza di collegamenti “vedi”, un tempo dettati dalla difficolta di aggiornare le LCSH. Questo aspetto può essere migliorato? Gestito in maniera collettiva? Circoscritto?
    • Ancora non abbiamo una versione machine-readable versions della Library of Congress Classification (LCC), mentre la versione machine-readable della Dewey Decimal Classification (DDC) è stata messa offline e potrebbe essere offerta a pagamento. Potremmo fare uso di LCC/DDC per la navigazione della conoscenza se queste fossero disponibili in modalità leggibile dalle macchine?
    • Posto che sia LCSH sia LCC/DDC hanno elementi di post-composizione e sono innanzitutto istruzioni per i catalogatori, potrebbero essere modificate per essere utilizzate per la ricerca da parte degli utenti finali, oppure dovremmo svoluppare uno strumento completamente differente?
    • Come potremo misurare il successo?
      Senza l’apparato dei laboratori di Google per la ricerca sugli utenti, la risposta potrebbe essere: non possiamo. Quanto meno, non possiamo aspettarci di avere risultati definitivi. Sarebbe davvero una cosa terribile quella di continuare a fare come facciamo oggi e di fornire quello che possiamo, e presumere che sia meglio di niente? Dovremmo veramente vedere, per esempio, un aumento di utilizzo dei cataloghi di biblioteca per confermare che abbiamo fatto “la cosa giusta?”

Notes

[1]*Modern Subject Access in the Online Age: Lesson 3
Author(s): Pauline A. Cochrane, Marcia J. Bates, Margaret Beckman, Hans H. Wellisch, Sanford Berman, Toni Petersen, Stephen E. Wiberley and Jr.
Source: American Libraries, Vol. 15, No. 4 (Apr., 1984), pp. 250-252, 254-255
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/25626708

[2] Katz, Bill. Introduction to Reference Work: Reference Services and Reference Processes. New York: McGraw-Hill, 1992. p. 82 http://www.worldcat.org/oclc/928951754. Cited in: Brown, Stephanie Willen. The Reference Interview: Theories and Practice. Library Philosophy and Practice 2008. ISSN 1522-0222

[3] One answer, although it doesn’t explain everything, is economic: the cataloging rules are published by the professional association and are a revenue stream for it. That provides an incentive to create new editions of rules. There is no economic gain in making updates to the LCSH. As for the classifications, the big problem there is that they are permanently glued onto the physical volumes making retroactive changes prohibitive. Even changes to descriptive cataloging must be moderated so as to minimize disruption to existing catalogs, which we saw happen during the development of RDA, but with some adjustments the new and the old have been made to coexist in our catalogs.

[4] Note that there are a few places online, in particular Wikipedia, where there is a mild semblance of organized knowledge and with which users are generally familiar. It’s not the same as the structure that we have in subject headings and classification, but users are prompted to select pre-formed headings, with a keyword search being secondary.

[5] Simon Spero did a now famous (infamous?) analysis of LCSH’s structure that started with Biology and ended with Doorbells.


La serie di post dedicati al catalogo e al suo contesto comprende:

  1. I cataloghi del passato
  2. Il catalogo a stampa
  3. Dalla carta ai database
  4. Gestionali di biblioteca e contesto
  5. E il futuro?