Impact factor venduto per (molto) denaro

Una notizia di qualche giorno fa agita il mondo dell’editoria scientifica, anche se in Italia pare essere passata sotto silenzio: Thomson Reuters ha venduto il settore aziendale dedicato a “Intellectual Property & Science Business”.

Tra i prodotti più noti di questa divisione ci sono Web of Science (WoS) e Journal of Citation Report (JCR), gli enormi repertori citazionali che tra le altre cose forniscono il Journal Impact Factor, il sempre contestato ma utilizzatissimo indicatore dell’impatto di una rivista misurato attraverso le citazioni dei suoi articoli. Essendo l’Impact factor una misura proprietaria, tra l’altro, anche i diritti d’uso dell’IF stesso sono stati venduti.

La transazione verrà perfezionata nel corso dei prossimi mesi (ora sta attraversando i controlli previsti dalla normativa antitrust americana) ma è stata ormai resa pubblica: gli acquirenti, i due fondi di investimento Onex (Toronto) e Baring Asia (Hong Kong) se la sono aggiudicata per oltre 3 miliardi e mezzo di dollari.

Alcuni osservatori, tra i quali Joseph Esposito[ref]Direttore di Processed Media, agenzia di New York specializzata in consulenza accademica e professionale, e in precedenza direttore dell’Encyclopaedia Britannica.[/ref], intervistato da Nature, sono convinti che i nuovi proprietari presto divideranno la società acquisita in parti, rivendendole separatamente per aumentare il profitto.

“Private-equity groups only buy something when they have an idea of how they will resell it later”

Esposito ipotizza che i futuri proprietari abbiano calcolato che l’espansione della ricerca scientifica e dell’innovazione in Asia renda l’azienda matura per questa espansione, e così per rivendere – in particolare, le banche dati brevettuali di Thomson Reuters, come ad esempio il Derwent World Patents Index.

È tuttavia improbabile che il futuro proprietario della divisione science-metrics, che include piattaforme come Web of Science e Journal Citation Reports, chiunque sia, cambi molto o decida di innovare, poiché questi servizi sono già maturi e portatori di grossi profitti, le cosiddette “vacche da mungere” della matrice Boston Consulting Group, che non richiedono investimenti per continuare a rendere come già fanno.

La matrice del Boston Consultin Group

La matrice del Boston Consultin Group