Della zuppa di pesce, o della felicità

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Di ritorno dal convegno delle Stelline (rimando ad altro post, se la pigrizia non mi vince, commenti su altri accadimenti congressuali), in treno, ho letto l’ultimo, interessante, numero di Biblioteche oggi, in distribuzione gratuita al convegno.

Il numero si apre con un articolo di Fabio Metitieri, l’OPAC collaborativo, tra folksonomia e socialità, che suggerisco di leggere.
Metitieri, al quale devo anche il titolo di questo mio post, in 5 pagine, equilibrate e documentate, fa il punto sull’evoluzione delle interfacce OPAC dei cataloghi di biblioteca, in particolare rispetto all’ambito dei contenuti generati dagli utenti. 


Interessante e pienamente condivisibile il nucleo centrale di riflessione, la “morale”, dell’articolo:

il Web 2.0, da solo e senza un progetto preciso, non ha nulla di magico e non può risolvere nulla.

 Dal punto di vista della socialità -è una delle tesi di Metitieri- l’OPAC non deve diventare esso stesso un social network, cioè una copia su scala ridotta di Facebook o di Twitter (“quelli con cui ogni dieci minuti si avvisano gli amici, scrivendo prima che si sta mangiando una zuppa di pesce, poi che si è felici, e dopo che si va a dormire”).

Ai fini dell’OPAC sono interessanti soltanto i tag, le recensioni, i commenti sulle risorse, i percorsi seguiti per le ricerche e tutto ciò che, si spera, potrebbe affiancare il tradizionale lavoro di catalogazione e classificazione, migliorandone l’efficacia. […]
Da questo punto di vista, è più corretto parlare di OPAC collaborativo, sottolineando il fatto che le informazioni dell’OPAC stesso sono il frutto di una collaborazione tra i professionisti della biblioteca e i loro utenti. (p. 11)

Metitieri descrive alcuni tentativi di modifica dell’OPAC della biblioteca in chiave “2.0”, googlizzata, diremmo, descrivendo il modello di Innovative, utilizzato ad esempio nella UQ Library: un’interfaccia decisamente semplificata, ipersemplificata, con la sola casella di ricerca e il tasto SEARCH, che anche nella prospettazione dei risultati risulta decisamente facile.
Resto del parere, su cui spero di trovare il tempo di tornare più in là, che modificare le interfacce senza modificare la struttura stessa del catalogo, anche iniziando a seguire i nuovi principi di catalogazione che si vanno diffondendo, ha un senso piuttosto limitato, “lipstick on a pig”, citando ancora una volta Roy Tennant.
Diverse riflessioni interessanti sono quelle che Metitieri riserva alle folksonomie, insieme a quelle iniziali sulla Google generation e più in generale sul ruolo di Internet come buona, o cattiva, maestra: per quelle rimando direttamente alla lettura dell’articolo.