I cataloghi del passato (Il catalogo e il suo contesto. Prima parte)

A partire da una presentazione tenuta nel giugno 2016 a Copenhagen, per ELAG, Karen Coyle ha sviluppato una serie di riflessioni, poi pubblicate in varie puntate sul suo blog e infine rielaborate in Catalog and Context, di cui la serie di post che inizia qui è la traduzione. Ringrazio Karen per l’autorizzazione a tradurre.


Immagina di fare una ricerca con il tuo sistema GPS e di ottenere il punto esatto dell’indirizzo cercato, ma nient’altro.

Senza qualche indicazione di contesto, che mostri dove quel tale punto esista sul pianeta, avere l’esatta localizzazione, per quanto accurata, è inutile.

In sostanza, il contesto è ciò che diamo agli utenti dei nostri cataloghi.

Loro fanno una ricerca e noi restituiamo loro gli oggetti bibliografici che corrispondono alle lettere digitate nella ricerca, ma senza alcun elemento di contesto su come tali elementi si inseriscano in una qualsiasi mappa della conoscenza.

Poiché presentiamo il catalogo come uno strumento di reperimento per oggetti non correlati tra di loro, gli utenti sono arrivati a vedere il catalogo di biblioteca come un mero strumento per fare ricerche su oggetti conosciuti. Non riescono infatti a considerarlo come un luogo dove esplorare un argomento o per trovare opere correlate. Il catalogo, tuttavia, non è sempre stato solo uno strumento per recuperare oggetti già noti. Per capire come lo è diventato, dobbiamo esplorarne la storia.

Cataloghi del passato

book catalog entry Non possiamo confrontare davvero un catalogo contemporaneo con quelli dei primi libri, perché quelli dovevano porre rimedio a problemi diversi da quelli ai quali devono rispondere i nostri, oggi. Questi cataloghi, tuttavia, riescono a mostrarci che cosa un catalogo di biblioteca dovesse essere, inizialmente.

Un catalogo librario era un elenco di punti d’accesso, principalmente autori, in qualche caso anche titoli e soggetti. I dati bibliografici erano mantenuti molto brevi, poiché ogni singolo carattere nel catalogo aveva un costo, sia intermini tipografici che nello spazio della pagina. Le intestazioni dominavano il catalogo, ed era attraverso le intestazioni che gli utenti potevano raggiungere i documenti posseduti dalla biblioteca. Una lista di autori ordinata alfabeticamente non è proprio “knowledge organization”, ma le intestazioni funzionavano come livello ordinato appoggiato sopra il posseduto della biblioteca, ed era il solo meccanismo di accesso a esso.

Alcune delle prime schede di catalogo avevano schede separate per le intestazioni e per i dati bibliografici. Poiché le registrazioni del catalogo erano manoscritte (in seguito stampate) sulle schede, la cosa più facile era inserire le schede nel catalogo dietro l’intestazione appropriata, senza aggiungere poi l’intestazione alle singole schede.

Spesso c’era solamente una scheda con tutta la descrizione bibliografica, ed era la “scheda principale”.  Tutte le altre schede consistevano solo di un riferimento a un altro punto del catalogo, dove sarebbe stato possibile trovare ulteriori informazioni.

Ancora, tutti i dati bibliografici erano subordinati a un livello di intestazioni che realizzava il catalogo. Possiamo discutere a lungo su quanto accurato o utile potesse essere questo strato, ma non ci sono dubbi che esso fosse il solo modo di accedere al contenuto della biblioteca.


La serie di post dedicati al catalogo e al suo contesto comprende:

  1. I cataloghi del passato
  2. Il catalogo a stampa
  3. Dalla carta ai database
  4. Gestionali di biblioteca e contesto
  5. E il futuro?